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OMELIA

NEL XXI ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO UGO DE BLASI, SACERDOTE


La Domenica ci raccoglie al suo sorgere e noi siamo qui per celebrare la Cena del Signore, riuniti attorno alla Mensa del Signore in una chiesa che ci è cara per molte ragioni: perché è tempio antico e fulgido di Lecce, dedicato alla Vergine del Rosario, che sempre veneriamo con amore filiale, ma specialmente in questo “anno del Rosario”, come lo ha voluto Giovanni Paolo II. Questo tempio è caro a molti di noi anche per la memoria che esso conserva del venerato sacerdote Servo di Dio d. Ugo De Blasi, che qui concluse il suo pellegrinaggio terreno al mattino del 6 febbraio 1982, mentre recitava il santo rosario inginocchiato dinanzi all’immagine della Madonna, e dove saranno traslate le sue spoglie mortali. Noi sappiamo, però, che egli, insieme con la Vergine, gli Angeli, i Santi e tutti quelli che ci hanno preceduto nell’incontro con Cristo, è membro di quest’Assemblea, di cui noi facciamo parte visibilmente. torna su

Sono riconoscente per l’invito rivoltomi di presiedere questa Santa Liturgia, avendo così l’occasione di tornare in questo luogo simbolico e caro della Chiesa di Lecce e rivedere, insieme con tanti amici fedeli laici, anche i fratelli sacerdoti di questo Presbiterio, mentre invio un fraterno abbraccio al carissimo Arcivescovo Mons. Cosmo Fr. Ruppi. Saluto pure i Revv.di Padri Domenicani, che attualmente custodiscono questa Basilica. torna su

Se ora, avendo ascoltato la Parola del Signore, volessimo applicare a questo momento l’espressione defunctus adhuc loquitur (cfr Ebr 11,4), dovremmo idealmente rivolgerci al nostro d. Ugo e chiedergli di spiegarci, come tante volte ha fatto da questo medesimo altare durante il suo ministero di Parroco, la pagina di Vangelo che è stata proclamata. Non parlerò, pertanto, di d. Ugo, ma cercherò di fare parlare d. Ugo cogliendo alcuni passaggi dei suoi scritti fra quelli conservati nel volume Radici profonde, curato nel 1984 da Lilia Fiorillo con l’aiuto di amici dell’Azione Cattolica diocesana, di cui d. Ugo fu luminoso punto di riferimento, di Mons. Franco Mandarini e di Mons. Donato Negro, ora arcivescovo di Otranto. torna su

Il racconto evangelico ha posto sotto i nostri occhi una giornata-tipo di Gesù, quasi suddividendola in tre quadri: predicazione, guarigioni di ammalati e preghiera. Osservando questo trittico possiamo contemplare un aspetto decisivo del volto di Gesù, come di chi ha tre punti di riferimento: la predicazione della Parola di Dio, il farsi vicino a chi soffre, e l’incontro con il Padre, ritrovato nella solitudine della preghiera. torna su

La nostra attenzione è attratta immediatamente dalla figura della suocera di Pietro, a letto con la febbre. Un’espressione risalta con forza: la fece alzare, che nel linguaggio del Nuovo Testamento evoca senz’altro la risurrezione di Gesù e la rinascita battesimale. Il racconto della guarigione della suocera di Pietro termina poi con la menzione del servizio. La febbre la lasciò ed essa si mise a servirli (Mc 1, 31). torna su

Se domandiamo in cosa consistette la guarigione della suocera di Pietro, la risposta è nel fatto che essa si pose in servizio. La vera guarigione spirituale sta nell’esser posti nella condizione di servi. Gesù ci fa risorgere per avviarci sulla strada del servizio. Egli libera, guarisce e risuscita per rendere l’uomo capace di servizio. Ascoltiamo ora il nostro d. Ugo. torna su

    È impossibile costruirsi una grande vita senza un grande amore…A che scopo la vita se non per donarla? Soltanto un alto ideale può dar valore all’offerta, che comporta sempre sacrificio, anche se gradito e gioioso. E il bisogno che induce a dare la vita non è altro se non quello di servire… C’è un unico Capo che merita un tale sacrificio: il Cristo vivente nei fratelli. Ogni servizio che non porta più o meno direttamente a Lui è un servizio inutile… Dilatarsi se non al ritmo del Cuore di Gesù. Una gioia, che intender non può chi non la prova: essere conquistati da questo immenso contagio di Amore, e la vita non troverà la sua piena andatura, il massimo rendimento, se non nel dono totale e senza possibilità di ripresa.



    (p. 75-76 [testo del 1965])

Il racconto del Vangelo prosegue: al mattino [Gesù] si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava (Mc 1,35). La preghiera di Gesù esprime la sua identità: egli è del Padre e per il Padre. Per questo Gesù prega: non per un bisogno psicologico o spirituale, non per un atteggiamento devoto, ma per un intimo e impellente bisogno di identità. È la comunione con il Padre, infatti, che dà “forma” alla vita di Gesù, il Figlio del Padre. Ci sarebbe da riflettere molto su questo passaggio evangelico, ma limitiamoci quest’unica espressione: si ritirò…. torna su

Nella nostra vita di cristiano il “ritirarsi” è fondamentale. Insegnava S. Bernardo: “Studeamus etiam furari aliquando nosmetipsos… Sforziamoci anche di rubarci a noi stessi di tanto in tanto, e sgusciare fuori anche solo per un’ora dalle nostre occupazioni così opprimenti, per scagliare come dardi i nostri animi (iaculari animos) e lanciare i cuori (vibrare corda) verso quelle cose che a loro appartengono per natura” (Sermo II, 8). torna su

Rivolgendomi in un’occasione ai miei fratelli del Presbiterio di Oria, scrivevo che specialmente noi sacerdoti abbiamo particolare bisogno di un effettivo ritiro, psicologico prima che fisico, dall’ambiente abituale, dalle occupazioni ordinarie o dallo stile di vita normale, da un certo mondo di sollecitazioni e inquietudini che affannano e disperdono. In questo “ritirarci”, dobbiamo impegnarci a fare esercizio di raccoglimento, come l’intendeva R. Guardini quando scriveva che raccogliere la vita vuol dire reagire con il raccoglimento alla dispersione per ritrovare l’unità: “Solo l’uomo in raccoglimento è qualcuno... Solo l’uomo in raccoglimento è vigile. Non soltanto in senso esteriore… La vigilanza interiore è capacità di riconoscere l’essenziale, di assumere decisioni responsabili, la vitalità del sentimento e la disponibilità della vita” (Il testamento di Gesù, Milano 1993, p. 42).

Raccogliere la vita potrebbe anche voler dire raccogliere i cocci… di quella che è la nostra vita, portando dinanzi a Dio le nostre incoerenze, le nostre paure e le nostre infedeltà, insieme con le nostre speranze, le nostre aspettative e i nostri desideri, la nostra voglia d’essere migliori. Colligite fragmenta! Il raccoglimento diventa, allora, conversione della vita. Ascoltiamo nuovamente, ora, cosa scrive in proposito il nostro d. Ugo:


    Una zona di contemplazione è necessaria ad ogni giorno: perché pietra miliare; è necessaria ad ogni vita: un richiamo alle altezze, per non essere come quel viandante che a metà strada dimenticò il motivo del suo viaggio.

    È soprattutto al mattino che il contatto deve essere ripreso con le realtà prime e il pensiero deve riorganizzarsi, in vista di riorganizzare a sua volta ciò che dipende dal suo potere. Svegliarsi è rinascere. La nostra anima cosciente si apre la via dalla carne in sonno come un tempo dal seno materno. Ci sta innanzi la giornata – vita in compendio – colma di esperienze, di grazie, di dono, a condizione di affrontarla in completa chiarezza… L’anima si desta, si abbandona allo spirito di Dio per ritrovarvi il senso delle cose, di se stessa, della vita…

    torna su (p. 83 [testo del 1944-45])


Il racconto evangelico si conclude con l’immagine di Gesù che annuncia il Vangelo e guarisce i malati. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni… disse loro «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là: per questo infatti sono venuto». E andò per tutta la Galilea, predicando… scacciando i demoni (Mc 1, 34.38-39). Il nostro d. Ugo forse commenterebbe ricorrendo al binomio neotestamentario ex hominibus… pro hominibus, per molto tempo “topos” caratteristico nella formazione spirituale dei futuri sacerdoti. L’espressione doveva di sicuro affascinarlo, poiché la ripeteva spesso nei tanti discorsi che egli ha dedicava ai suoi amici sacerdoti. torna su

    Pro hominibus… Per trovare il tono del “condolere”, ci si metta nella situazione dei fratelli. Sentire con gli uomini: il sacerdote deve dire a se stesso che egli è chiamato quale aiuto, non soltanto quale emissario… Certuni di noi, con disposizioni altamente ideali, animati dallo zelo di far valere leggi e diritti di Dio, ci ammantiamo sul pulpito e nel confessionale di una durezza inflessibile. Il sacerdote non solamente è mandato quale propugnatore dei diritti di Dio, ma pure quale avvocato dell’umanità peccatrice:deve far suoi i bisogni, le lotte, le sofferenze dei figli di Adamo… Ricordiamo quanto amara riesce a noi l’asprezza e la severità da parte dei nostri superiori.. Quanto lieti e riconoscenti siamo, se nelle nostre mancanze abbiamo trovato un giudice e consolatore benigno e mote. Consolatore, sì precisamente… torna su

    (p. 144-145 [testo del 1970])
    Riflessioni al clero di Lecce

Una volta d. Ugo predicò che la traiettoria del munus sacerdotale è quella che va dall’altare al cuore del mondo: “Il sacerdote scende dall’altare, s’immerge nel mondo, irradia la parola a tempo e contro tempo, opera e lotta per il regno di Dio…”. Per spiegare un simile movimento richiamò un passaggio del discorso col quale Paolo VI, il 7 dicembre 1965, avviava a conclusione il Vaticano II.

    Suggellando il Concilio il Papa dichiarava altamente questa verità: “La Chiesa si è occupata dell’uomo quale oggi si presenta. La ricchezza dei bisogni umani ha assorbito l’attenzione del nostro Concilio. E tutta questa ricchezza dottrinale ha l’unico scopo di servire l’uomo. La Chiesa si è dichiarata in un certo senso serva dell’umanità, lei che è esperta in umanità”. Una nota distintiva della personalità sacerdotale è questo carisma di simpatia profonda e di pronto servizio ai fratelli per progenie e per fede. torna su

    (p. 158 [testo del 1976]).
    per il XXV di D. Franco Lupo

Nel paradigma del Concilio, dunque, d. Ugo vedeva il paradigma della spiritualità del sacerdote. Parlando nel trigesimo della morte di un caro sacerdote, egli pronunciò parole che valgono sicuramente anche per lui:

    Mi pare non sia poco una vocazione al sacerdozio, un trasfigurare l’uomo in un altro Cristo, un confidargli… la Parola e i Sacramenti; tutto questo non rappresenta un indice che il Signore aprirà il suo sguardo di benevolenza su una specifica creatura?… tutto questo, credete anime, che non abbia anche il suo valore in ordine al premio eterno?
    torna su

    (p. 164-165 [testo del 1982])
    Trigesimo di d. A. Cruciato

“Personalmente ne sono convinto”, rispondeva d. Ugo. Anche noi ne siamo convinti per lui, che vive nella gloria eterna. A questa medesima gloria conduca anche noi, per sua misericordia, il Re della Gloria, al quale diciamo: Non nobis, Domine, sed Nomini tuo da gloriam. Non è retorica sacra, ma richiamo al regolamento di vita sacerdotale che il diacono Ugo De Blasi stilò prima dell’ordinazione sacerdotale: soli Deo honor et gloria… A te, Signore, sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Lecce, Basilica del Rosario
8 febbraio ’03

Marcello Semeraro
Vescovo di Oria

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