Fare Pasqua

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emmaus_sml1.jpgHa tutto il sapore d’una bella avventura la gemma delle parabole evangeliche: è il giovane nel bollore degli anni insofferenti di freno, nel miraggio maliardo d’una emancipazione giuridica. Non fa contrasto il vecchio padre, anche se il cuore sanguina: divide i beni ma non il cuore. La vita sbarazzina lo travolge in un vortice di piacere, abbandonandolo poi alla corrente naufrago e infelice.
Con l’anima a brandelli più che non i cenci di cui si ricopriva drizza i passi verso la casa paterna. Un abbraccio gli soffoca in gola l’espressione del suo sentimento, un banchetto lo restituisce al pristino decoro.
Se la dicessimo storia romanzata, forse saremmo più nel giusto. E’ in brevi linee la riproduzione fantasiosa di quanto è avvenuto a ciascuno di noi nell’ebbrezza d’una gioia di dubbia lega. Disertammo il cuore di Dio, cogliemmo le bacche dall’albero proibito; l’efficacia della grazia ci ridusse a miglior consiglio nel sacramento del perdono, il candore d’un pane ci ridonò pace e benessere.
Confessione e Comunione: parlo ad anime assidue e costanti nella frequentazione di essi, edotte sulle disposizioni da essi richieste; ma in vista d’un giorno singolare vorrei nella Confessione presentare un fattore di redenzione, e nella SS.Eucaristia un viatico di giovinezza.
a. Fattore di redenzione: redenzione da redimere = ricomporre, rifare.
La Teologia ha consacrato questa parola all’ora cruciale del Golgota, agli spasimi dell’Uomo-Dio; la fede l’applica ad ogni ora, ad ogni spasimo, in cui il Signore solleva le anime dal fango pantanoso ove si tuffano con la vertigine d’un volo. Si osservi la graduale discesa: anime ancora imperlate dall’acqua battesimale, al bivio deviano miseramente, sulla strada che inzacchera e perde. Il mondo le accoglie con la subdola scaltrezza che abbaglia e incatena, addita la chimera e come sfinge malefica le attira nel baratro. E poi, quando s’è ben succhiato il sangue d’una giovane vita, cinicamente l’abbandona sogghignando beffardo e ridendo sulla sua sventura.
Lo conosci, o giovane, questo traditore dileguatosi mentre tu annaspavi
tra il fango e la tenebra, in cerca di luce e d’azzurro.
Buon per noi che una voce la voce benedetta del nostro Dio ci dilaniava il cuore, ci rammentava e ripresentava ciò che avremmo voluto dimenticare e non lo sapevamo, ciò che avremmo sepolto nel nostro cuore e non lo potevamo.
E’ la poesia del dolore. S.Paolo ha chiamato Dio “Pater misericordiae et D. totius consolationis“: e nel sacramento della Confessione il Signore conferma questi attributi sostanziali.
La prima pagina, anzi la prima linea, nella storia dell’umanità la troviamo contaminata dalla colpa: il grido di meraviglia che echeggiò possente nel creato venne soffocato dal singulto che seguì il primo peccato. E da quel giorno tetro e pauroso, quante lagrime amarissime si rinnovarono al ripetersi d’ogni ribellione! Quante degradazioni umilianti, seguite a breve scadenza da lancinante rimorso!
Ma i lamenti affannosi della miseria umana commossero fin da principio la misericordia onnipotente: scese senza indugio e senza misura, sopra contriti ed umiliati, benefico e ristoratore il perdono di Dio, a riparare, consolare, redimere.
Sì fu proprio il peccato che produsse la redenzione: da un groviglio di perversioni sboccia la grazia, che porse mano pietosa ai caduti e ne fece dei risorti.
E non fu un gesto munifico compiuto una volta sola: ogni giorno Egli, l’Altissimo, si china pietoso sopra gli erranti disillusi e pentiti, tremanti di raccapriccio e di vergogna, e sopra la loro immensa miseria bersagliata dalle sue maledizioni recita la formula sublime dei suoi perdoni: “Ego te absolvo! ” Non si stanca.
Mai, mai, ricordatelo, o giovani. Avessimo ucciso il germe d’ogni grazia, infangato l’anima, se abbiamo ferma volontà di risorgere, tutto è rimediato. Accostiamoci alla Confessione e il sangue di Cristo rinverginerà il cuore, il tonico ricostituente ringagliardirà lo spirito.
Anime vittime della colpa, che portò morte e dissoluzione, anime turgide di vita spirituale, che il vizio ha disseccato e intristito, anime che dalla perenne giovinezza dello spirito scivolarono nell’abisso che non conosce limiti nè età, per la penitenza fattore di redenzione son balzate su inopinatamente, nel regno della vita, e hanno intrapreso l’ascesa al monte santo “il dilettoso monte che è principio e cagion di tutta gioia”.
Uno schermo ideale su cui si avvicendano quanti nel sangue dell’Agnello lavarono le loro anime bruttate dalle colpe della verde età. La Maddalena, M.Egiziaca, la peccatrice di Cortona. Peccarono, è vero, ma molto amarono.
E con le pecorelle smarrite di ieri, i figli prodighi di oggi, giovani che hanno vissuto questo stesso nostro tempo, Eva Lavallier…
Autentici trofei del sacramento della Penitenza, in cui trovarono il binario per avviare la loro giovinezza deragliata e sbandata.
Anime che dalla fame del piacere assurgono all’appetenza del sacrificio; cui Iddio con l’amplesso paterno del perdono imbandisce il suo amore nel banchetto celebrato per il loro ritorno.
b. Viatico di giovinezza: tanto per intenderci: nè il Cristo ha istituito nè la Chiesa ha confermato un sacramento esclusivo per i giovani. I sette sgorgati dal cuore di Cristo furono e sono per tutti: per i giovani e per i vecchi: sorridono alla vita, attendono il bacio di sorella morte.
Ma l’esperienza e la prassi cristiana dicono a me giovane, che vivo la mia giovinezza in mezzo ai giovani, esserci pure un sacramento da chiamarsi per antonomasia “dei giovani”: il sacramento dell’Amore, l’Eucaristia.
Che cosa è infatti la giovinezza, se non una soglia che dalla puerizia introduce alla virilità?
Il piccolo passo necessario per scavalcare questa soglia racchiude il mistero dell’avvenire. Il fanciullo affacciandosi a questo squarcio di vita tutto azzurro e sereno chiede un pane che gli dia forza, coraggio, audacia. E la forza non sorge che dall’unico pane: l’ Eucaristia, fuoco centrale del Cristianesimo, da cui tutta la vita cristiana si colora e ne promana, con perenne freschezza, una somma di energie, alla cui origine altre fedi non sanno risalire, perché si son di troppo discostate dalla Fonte.
Il segreto è lì. Umile, grezzo, primitivo, prezioso, adorno, artistico, ogni ictus di forza s’intona nel Tabernacolo. Come il sole che allarga i suoi raggi e nelle cose accende una gioia di luce nella tiepida voluttà del suo infinito pulviscolo d’oro, l’Eucaristia dispensa vita e calore.
Gesù la sapeva questa festa d’amore, la voleva questa convergenza di palpiti e per cogliere questo profumo di cuori restò. Là nel Cenacolo, dove s’agitava il desiderio eterno ed infinito d’un Dio “desiderio desideravi”, nella coscienza del vicino tradimento, Cristo dovè sentire dolcissimo il tributo d’adorazione dei secoli avvenire, che stringeva intorno a Lui in un nodo inscindibile di devozione e di lode miriadi di anime.
Ma quello che dovette sentir maggiormente fu certo la sete angosciosa delle nostre giovani anime arse da febbri senza nome, la fame insaziata delle turbe nel deserto della vita; fu la debolezza di noi povere creature straziate da passioni; fu la visione di martiri senza palme, di eroi senza lauri, bisognosi d’un cibo quotidiano per non venir meno ai propositi che costano sangue; fu il nostro languore di spirito, il nostro esaurimento, la nostra spossatezza, o giovani.
Diciamolo schietto: quante volte abbiamo vissuto periodi vuoti e rilassati, assopiti in un’apatia che atrofizzava le nostre migliori energie.
Forse fu l’abbandono della preghiera, una maggiore indulgenza verso la carne, certo l’incomprensione più o meno involontaria di quelli che sono i rimedi, prima fra questi il Sacramento Eucaristico. E quando allo spirito viene a mancare questo divino alimento, la vita fiorente è inconcepibile, per non dire impossibile. “Se nascens convescens; se moriens se regnans“: magnifica sintesi della redenzione uscita dal cuore dell’Angelico. E per questa…
Restò “in cibo”, “in viatico”, perché aveva desiderato con l’intensità d’un desiderio divino di mangiare la Pasqua con noi; perché non bastava al suo amore averci redenti e vigilare dall’alto all’applicazione incruenta della Passione; perché non voleva che solo un popolo, il Palestinese, avesse avuto il beneficio della sua presenza fisica e reale; perché vo leva essere la guida che conosce le insidie della roccia che avremmo scalato.
Surge et comede“: se il nemico ti tallona, ti preme ai fianchi, altri prima di te han provato l’urto e l’attacco: i più forti lo hanno prevenuto e si sono immunizzati; i più ingenui e deboli si lasciarono prima ingannare, poi hanno rimediato. Ma nell’uno e nell’altro caso la forza l’hanno attinta dalla Mensa Eucaristica. Hanno sentito urgere in se stessi il bisogno di questo divino alimento, l’hanno sospirato, l’hanno mangiato. E si son fortificati.
Eucaristia e giovinezza ardente, Eucaristia e giovinezza pura, santa e forte non possono separarsi.
Eucaristia e giovinezza sono i due soli che brillano sulla dolorosa vita dell’uomo, le due primavere che gli sorridono e per questo il sacerdote, ogni volta che accede all’altare, sente come sfaldarsi il corpo e ricrearsi lo spirito, e alla prima come all’ultima messa non ripeterà che una stessa antifona.
L’Eucaristia: perenne e immacolata primavera dello spirito; la giovinezza: fugace ma preziosa primavera della vita.
In questi due cerchi luminosi il giovane si forma, s’incarna, si perfeziona nella vita con Cristo, che con noi giovani ha simpatizzato: “intuitus dilexit“.
Quante ostie consacrate in una chiesa, in una città, in una nazione; quanti giovani aitanti nel mondo: ogni ostia aspetta un’anima: tante anime, tante ostie. Ed ogni ostia è una riserva inesauribile di grazie, doni, aiuti; ogni anima ne riceve con profusione incredibile, e dopo aver divinizzati tanti cuori ne rimane ancora una provvista infinita, ce ne sarà per tutte le generazioni.