Un regno di sacerdoti su tutta la terra

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Dal discorso per il 25° anniversario di sacerdozio di don Franco Mannarini

Il travaglio di donare la vita, di alimentare la vita già donata, è questo l’odierno dramma del Sacerdote di Cristo, preposto a dispensare Cristo-parola e Cristo-pane, per fare l’unità delle menti nella verità e l’unità dei cuori nella carità. Travalica gli angusti confini di un tempio stipato di fedeli all’inverosimile no prescription online pharmacy per l’assemblea domenicale e pervade tutti i giorni, che tutti son del Signore, il compito della liturgia della Parola e dell’Eucaristia proprio di Gesù stesso, il “liturgo” per antonomasia “unico mediatore tra Dio e gli uomini” – unico ed eterno Sacerdote – che ha com- piuto l’opera “della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio – insegna la Sacrosantum Concilium – specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione”.

“Dico la verità in Cristo… ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua… Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? La fede dipende dunque dalla predicazione e questa a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm 9, 1-2;10,16-17).

Il Sacerdote cattolico, in forza della sua partecipazione sacramentale al sacerdozio di Cristo – prolungandone l’atto salvifico attraverso i secoli – è compreso della reale portata del suo essere intermediario, per cui fa della pietà liturgica un vero mezzo di salvezza per sé e per tutta la famiglia cristiana nella Messa, Ufficio divino, amministrazione dei Sacramenti, predicazione e istruzione del popolo.

Eppure la santità cui punta a condurre sé con gli altri si dilegua dal mondo come una fata morgana, mettendo in crisi le ultime leve e i veterani esausti, venuti a trovarsi all’incrocio delle due grandi antitesi, che possono distruggere l’alter Christus: il rifiuto puro e semplice di guardare il mondo di oggi e lo slancio incontrollato verso le aspirazioni e le sofferenze degli uomini.
“Chi dicono che io sia?”. Per trovare una risposta i dodici cominciarono ad annaspare nel buio, nelle dicerie della gente, infine giunse Pietro con la battuta buona: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 15-16).

Esito simile toccherebbe anche alla domanda: chi è il prete? rivolta agli uomini del 1975. Seguirebbe l’immancabile varietà e confusione delle nostre idee e pareri fino a quando, almeno, non accetteremo di far nostra la definizione suggeritaci dallo Spirito di Dio nella sua Parola, nella vita e nella fede della Chiesa: preso di mezzo agli uomini, costituito a vantaggio degli uomini (Eb 5, 1).

Non è mancanza di pudore voler parlare e discutere del prete, l’uomo di tutti, non appartenente ad una casta che debba difendere i propri interessi e il proprio prestigio.

Il Sacerdote è per la comunità, che per lui giustamente prova una specie di amorosa gelosia. Se il pastore deve andare adorno delle qualità evangeliche è perché la comunità si rispecchia in lui e prende valore dal sentirsi amata da quest’uomo di Dio. Se egli la lascia, la comunità avverte un senso di colpa per qualcuno che le viene meno…

Non è solo una moda parlare di lui, se la sua figura suscita ancora interesse da meritare l’attenzione dell’opinione pubblica, nei giornali e alla televisione, in dibattiti accesi e nei dialoghi familiari.

Se questo non accadesse, la sua morte sarebbe già stata decretata e lui e il mondo del sacro relegati per sempre nel regno dei ricordi. Il punto focale è e resta dare a noi un’immagine più com- prensibile della guida della comunità, del maestro della fede, del testimone dell’essenziale.

Venerdì l’altro – solennità del Sacro Cuore – ventinovesima giornata della santificazione sacerdotale fu proposto il tema: “La credibilità del prete”.

Tra gli altri raccolsi questo pensiero: ad un mondo cui sono state fatte tante promesse e che esperimenta invece profonda sfiducia, terribili paure, continue minacce, la Chiesa deve potersi presentare come aralda di un messaggio credibile di redenzione, che viene dall’ esperienza e diventa esperienza.

L’Anno Santo richiama a conversione, perché fede e vita si possano trovare sulla stessa strada; il Sinodo del 1974 ha rammentato che l’evangelizzazione è legata alla credibilità delle persone, della comunità, della Chiesa locale e universale. Cristo fu credibile; gli Apostoli diedero e chiesero credibilità; il Sacerdote attento e sensibile coglie motivi di esame per essere personalmente più credibile e per promuovere credibilità tra i fratelli.

I credenti lo guardano per avere incoraggiamento, i lontani per captare una speranza. Credibilità di dottrina, di costumi, di libertà da compromissioni col male, con l’ingiustizia, perché la buona novella proclamata non sia resa vana dallo strumento di cui Cristo vuol servirsi.

Credibilità amorosa e fedele, come deve essere per colui che da Cristo e dal suo Vangelo è stato conquistato e reso disponibile in forma totale ai fratelli.

Credibilità che sarà premiata, come preannuncia la profezia nel cantico a Cristo Signore, perché “hai fatto di noi un regno di sacerdoti su tutta la terra” (Ap 5, 10) […].

La distinzione essenziale del sacerdozio ministeriale da quello battesimale non è concepita come un privilegio, ma come un servizio che noi Sacerdoti dobbiamo rendere ai laici, un carattere sì tutto proprio di noi che siamo stati scelti ad ambasciatori di Cristo e dispensatori dei Suoi misteri, ma esso è un carattere in conseguenza di tale missione intenzionalmente sociale, qualificato per la carità in dimensione verticale fino ai cieli e in quella orizzontale ad ogni uomo: fatti tutti … figli tutti.