articolo ripreso da portalecce
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“La vita di un prete si giustifica solo sulla base di un amore profondo ed espansivo per Gesù Cristo. Un amore incontenibile che diventa annuncio, testimonianza, servizio”.
È questo l’incipit del Decreto di Venerabilità di don Ugo De Blasi, letto pubblicamente in cattedrale, dal segretario arcivescovile, mons. Mauro Carlino all’inizio della concelebrazione eucaristica presieduta dal card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, giunto a Lecce per consegnare alla diocesi il documento ufficiale firmato dallo stesso porporato salentino con il quale Papa Francesco ha riconosciuto l’eroicità delle virtù del sacerdote leccese, deceduto il 6 febbraio 1982.
Alla solenne liturgia – trasmessa in diretta da Portalecce (GUARDA) – hanno preso parte gli arcivescovi Michele Seccia (che da pastore della Chiesa di Lecce ha rivolto all’inizio della messa l’indirizzo di saluto al cardinale) e Donato Negro e i vescovi Vito Angiuli e Cristoforo Palmieri oltre a buona parte del clero leccese.
Con la stessa frase con cui inizia il testo del Decreto, il card. Semeraro ha aperto la sua omelia – che nei prossimi giorni Portalecce pubblicherà integralmente -, “frase scelta perché ci apre uno spiraglio sulla vita interiore, ci dice che cosa egli vedeva a fondamento della vita di un prete. L’amore per Cristo – ha proseguito il prefetto del Dicastero delle cause dei santi -, un amore che descrive come qualcosa di sorgivo. Una sorgente nel cuore che, come dal costato aperto e dal cuore trafitto di Cristo, per tutti e per ciascuno di noi, è scaturita la sorgente di vita, così è il dono dello spirito. Così come per un debito d’amore, dal nostro cuore deve zampillare l’amore per Cristo. Ed è in questo scambio, in questo dinamismo che nasce, prima o poi deve nascere la vocazione, se è vera vocazione. Da qui nasce la scelta di essere prete. All’inizio potranno esserci tante motivazioni, le più varie. Anche serie, valide, anche ingenue”.
“Papa Francesco – ha proseguito il card. Semeraro – fa eco quando dice che la parola ‘vocazione’ colloca tutta la nostra vita di fronte a quel Dio che ci ama e ci permette di capire che nulla è frutto di un caos senza senso. Al contrario, tutto può essere inserito in un cammino di risposta al Signore che ha un progetto stupendo per ciascuno di noi. Don Ugo De Blasi questo non lo ha capito subito. È cresciuto. Non l’ha capito subito”.
“C’è una frase nel suo diario che risale agli esercizi spirituali dell’ottobre 1940. Si preparava all’ordinazione diaconale che avrebbe avuto dopo qualche giorno, scrive così. ‘Misericordie domini plena est terra. La terra è piena della misericordia di Dio. Da questa meditazione sono stato rinnovato fino ad oggi. Egli sognava un sacerdozio consumato per il trionfo del tuo Regno. Non avevo mai pensato che il tuo è Regno d’amore. E ora sogno così il tuo trionfo’. Don Ugo ha rivissuto nella sua vita quell’esperienza degli apostoli, quali domandavano a Gesù: Maestro, quando arriverà il momento in cui instaurerà il tuo Regno? E poi capiranno che il Regno Cristo instaurato su una croce quanto per amore, è morto per noi.
Anche Don Ugo si immaginava il Regno come dominio, siamo a fine a novembre: egli faceva gli esercizi in quel periodo, perchè era vicina la festa di Cristo Re. E cominciava a capire che il Figlio dell’Uomo non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.”
“In un’altra occasione ha scritto – riferisce ancora il cardinale monteronese -: ‘io sono un cerebrale, lo sento, sono freddo. Meglio così, basterebbe un tantino di sentimento a rovinarmi’. Una frase dove rivediamo anche un contesto di formazione educativo. Ha paura del sentimento don Ugo, dice sono freddo. E proprio ripensando a questa confessione potremmo cominciare a capire il suo atteggiamento abituale, serio, grave. E capiamo che era la maniera per custodirsi: come nel nostro cuore, anche nel suo, c’era una paura. Aveva paura. E si custodiva. Ma nel frattempo prendeva sempre più spazio in lui, quello che aveva capito alla vigilia del diaconato: è un Regno d’amore, non deve avere paura. E da lì, pian piano comincia a disegnarsi l’altro suo volto, non quello serio che tanto spesso vedevamo noi che l’abbiamo conosciuto. Un altro suo volto che si manifestava nell’intimità dell’ilare e cordialità della fedele amicizia, della carità verso i più deboli, gli anziani, i malati, i carcerati. Ed è il volto che tutti riconoscemmo alla sua morte”.
“Quand’egli morì – si lascia andare a ricordi personali, il porporato -, io ormai ero tornato nel seminario regionale di Molfetta, in quell’anno che, subito dopo l’ordinazione trascorsi a Lecce nel seminario vescovile, chiesi a don Ugo di accogliermi per la confessione e per la direzione spirituale. E quanto seppi della sua morte dissi: i preti di Lecce non hanno più un padre spirituale.”
“I preti hanno un padre spirituale? – si chiede don Marcello, così sono abituati i leccesi – O hanno soltanto uno psicologo? Un padre spirituale. E penso ai tanti laici, laiche… specialmente nell’Azione cattolica. Ripenso a don Ugo mi ritorna alla mente l’immagine del pastore delineata da San Gregorio Magno. Un classico, una volta si leggeva. Papa Giovanni ce l’aveva sul comodino. ‘Singulis compassione proximus, praecunctis contemplatione suspensus. Vicino a tutti condividendo il dolore e più di ogni altro dedito alla contemplazione’. Perché la contemplazione mi permette di assumere in sé con sentimenti di misericordia, le sofferenze di tutti’”.
“E proprio per questo, non trascurando le necessità del prossimo e accostandosi a questi bisogni non desiste dal tenere alle realtà celesti. Sono due atteggiamenti che non si affiancano l’uno con l’altro, essere uomo di contemplazione ed essere uomo di azione. Dedito al prossimo ma sospeso dall’amore di Dio. Questi due atteggiamenti ancor meno si oppongono, piuttosto l’uno e presupposto dell’altro e il primo è anima del secondo. Si appartengono reciprocamente. Sospeso nella contemplazione. Proteso nella carità. Se quanti lo abbiamo conosciuto consideriamo la vita di don Ugo, dobbiamo ammettere che per lui è stato proprio così. Proteso verso il prossimo nella carità. E sospeso a Dio per la contemplazione”.
“Nel processo, per la beatificazione e canonizzazione un testimone ha parlato a suo riguardo di una forza contemplativa e ha dichiarato così, cito: ‘vi era nella sua figura, nella sua personalità qualcosa che incuteva grande rispetto e che suscita un’attrazione che non mi sapevo completamente spiegare. Ciò che avvertivo in modo unico rispetto a tutti gli altri suoi confratelli, era un fuoco profondo era una incandescenza nascosta di una forza contemplativa, di una continua adorazione, di un ardore di preghiera’. Emerge da questa testimonianza qualcosa che è caratteristica della santità e dell’essere trasparenza di Cristo: l’autenticità di una vita santa è la trasparenza di Cristo. Se in un uomo o una donna non riusciamo a vedere il volto di Cristo ma si rimane ammaliati da sue ipotetiche virtù, si rimane ammirati da asserite pratiche ascetiche, conquistati da immaginarie esperienze mistiche, se non riusciamo a riconoscere il volto di Cristo: quella non è santità!”.
“E se voi doveste domandarmi – sottolinea – quale tratto del volto di Cristo ti è parso di vedere in don Ugo de Blasi? Io vi risponderei senz’altro. L’adoratore del Padre. E l’ultima immagine che egli ci ha lasciato: uomo di adorazione. È stato ricordato, la morte, lo colse mentre era in preghiera”.
“Don Ugo io lo ricordo al suo posto – attinge ancora alla memoria dei suoi primi anni di messa -, nel confessionale, quando era canonico penitenziere: era lì il suo confessionale, in fondo alla cattedrale. Era lì a confessare; pronto ad accogliere, a illuminare, a consolare, ad amministrare il perdono del Signore. E poi, come tutti quanti l’abbiamo conosciuto, lo ricordo nell’ufficio di Curia ad assolvere nel silenzio le incombenze affidategli: tutti i certificati delle mie ordinazioni, la tessera d’identità, diventato sacerdote, c’è sempre quella sua firma che sembrava un ricamo”.
“Ma l’immagine ultima che ho nella memoria è quella di un prete che è morto mentre pregava. Romano Guardini scriveva: ‘Il santo è il cristiano che è totalmente preso dall’avvicinarsi dell’Agnello e gli va incontro.’ Sia questo il messaggio che questa sera raccogliamo da chi la Chiesa riconosce Venerabile Servo di Dio. Sia questo il nostro venerarlo. Totalmente preso. Dall’avvicinarsi dell’Agnello e gli va incontro. È la parola stessa di Gesù. ‘Viene l’ora, ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Così infatti il Padre, vuole che siano quelli che lo adorano’”.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli
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